Tutte le sfide quotidiane possono usurare il nostro corpo, le nostre emozioni e la nostra mente. Sono molti i fattori che nella vita di tutti i giorni generano stress.
Contrariamente a quanto comunemente si creda, lo stress non è una malattia, ma una modalità fisiologica di adattamento (eustress o stress positivo). Alla metà degli anni 50, Hans Selye lo definì come la «sindrome generale di adattamento alle sollecitazioni/richieste (stressor) dell’ambiente», necessario alla sopravvivenza e alla vita. Lo stress, infatti, è la risposta complessa prodotta da un soggetto, nell’interazione con l’ambiente: senza stress, diceva Selye, c’è la morte.
Ciascuno di noi, in maniera del tutto soggettiva, in virtù del patrimonio ereditario e delle esperienze vissute, filtra le diverse richieste compensando individualmente lo stimolo stressogeno. «Per fronteggiare le situazioni, l’individuo mette in atto le proprie strategie comportamentali che vanno sotto il nome di coping (in italiano si potrebbe tradurre col termine cavarsela). Gli stili di coping dipendono appunto dalle caratteristiche del soggetto e dalle esperienze personali. Da ciò consegue la soggettività/individualità nella risposta di stress» (ISPESL, 2002).
I tipi di coping, o strategie comportamentali
I tipi di coping sono:
Problem focused coping, centrato sul problema e finalizzato a modificare e risolvere la situazione problematica;
Emotion focused coping, centrato sulle emozioni e finalizzato a gestire in maniera efficace le emozioni connesse all’evento stressante.
Tuttavia, in condizioni particolari, la risposta di adattamento può divenire disfunzionale, ossia non è più in grado di soddisfare l’obiettivo (in questo caso si parla di di stress o stress negativo). Questo può verificarsi o perché le richieste sono eccessivamente intense o perché durano troppo a lungo, superando quindi le possibilità di compensazione del soggetto. Lo stress può colpire qualsiasi luogo di lavoro e lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore di attività, dal livello gerarchico o dalla tipologia del rapporto di lavoro. Perciò, ferma restando la definizione di Selye, riconosciuta da tutta la comunità scientifica, generalmente si tende a focalizzare l’attenzione sull’aspetto disfunzionale del fenomeno soprattutto per le conseguenze negative che comporta, sia a livello personale che delle imprese e della società tutta.
Le tre fasi dello stress
Le tre fasi dello stress sono:
Fase di allarme (risposta fisiologica allo shock)
Fase di resistenza
Fase di esaurimento
Fase di allarme
È la fase iniziale della reazione di stress in cui l’organismo chiama a raccolta tutte le sue risorse disponibili per l’azione immediata, soprattutto secernendo ormoni in grado di provocare opportuni cambiamenti in determinate funzioni organiche. In questa fase avviene un’intensa produzione di adrenalina e una rapida accelerazione del ritmo cardiaco.
Vi è l’attivazione dell’ipotalamo, che promuove la liberazione, da parte dell’ipofisi, dell’ormone adrenocortico-tropo (ACTH), l’ormone deputato a regolare l’attività della corticale del surrene. In risposta a tale attivazione la corticale del surrene libera cortisone e i livelli plasmatici dell’ormone aumentano. In pratica durante la reazione di allarme l’ipotalamo libera un ormone peptidico (piccola proteina) chiamato Corticotropin Releasing Factor (CRF). Il CRF, oltre che promuovere la liberazione di cortisone da parte della corticale del surrene, attiva alcune aree del sistema limbico. Tale fenomeno spiega perché durante lo stress sperimentiamo modificazioni della memoria, del comportamento e delle attività del sistema nervoso vegetativo
Fase di resistenza o adattamento
La durata di ogni reazione allo stress dipende soprattutto da questa fase che dura finché risulta necessaria una prontezza e capacità d’azione, secondo percezioni basate, in gran parte, su fattori psicologici. È la fase in cui ci si adegua alle nuove circostanze e, in pratica, finché si percepisce il fattore di stress, l’organismo resiste. In questa fase assume un ruolo fondamentale l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene nella quale viene messo in atto un complesso programma sia biologico che comportamentale che sostiene la risposta allo stress. Vi è sovrapproduzione di cortisolo che ha come conseguenza la soppressione delle difese immunitarie. Il conseguente indebolimento delle funzioni immunitarie non è preoccupante se dura poco, ma diventa un problema in caso di stress cronico: aumenta la probabilità di contrarre malattie infettive, dal semplice raffreddore alla monucleosi, e sembra aumentare la predisposizione alle malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla.
Molte persone sono imprigionate in questa fase: hanno ritmo cardiaco accelerato e muscoli scheletrici tesi, anche dopo aver superato le difficoltà. Sono i cosiddetti “iper-reattivi”, i quali spesso lamentano l’incapacità di rilassarsi dopo un impegno importante. Sono persone “stress-dipendenti”, assuefatte dall’eccitazione dell’organismo.
Fase di esaurimento
Quando il “pericolo” viene percepito come superato o quando l’energia da stress comincia a diminuire, inizia la fase finale della che ha l’obiettivo di assicurare all’organismo il necessario periodo di riposo. Se la fase di resistenza finisce prima che tutte le risorse di energia da stress siano state consumate, la successiva fase di esaurimento è sentita come un sensibile calo d’energia spesso associata a un profondo sollievo o piacevole torpore. Se, invece, la fase di resistenza è durata per molto tempo, possono derivarne lunghi e debilitanti periodi di esaurimento, visto che l’organismo tende a restare in questa fase finché ne sente la necessità.
Segni soggettivi organici
Palpitazioni
Secchezza in bocca e in gola
Abbondanti sudorazioni
Appetito a volte mancante a volte eccessivo
Disturbi gastrointestinali
Cefalea da tensione
Dolori al collo o alla parte bassa della schiena
Tic nervosi
Segni soggettivi psicologici
Ansia, irrequietezza, stato di allarme
Depressione
Senso di stanchezza
Senso di debolezza
Disturbi del sonno
Segni soggettivi comportamentali
Incapacità di attenzione e concentrazione
Aumento consumo sigarette
Consumo di tranquillanti
Consumo di alcool o droghe
Le responsabilità del lavoro che svolgiamo
Oggi lo stress è sempre più associato al lavoro che svolgiamo. I rischi psicosociali dello stress lavoro correlato derivano da inadeguate modalità di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro e da un contesto lavorativo socialmente mediocre. Possono avere conseguenze psicologiche, fisiche e sociali negative, come stress, esaurimento o depressione connessi al lavoro. I rischi psicosociali e lo stress lavoro-correlato rappresentano una delle sfide principali con cui è necessario confrontarsi nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro in quanto hanno considerevoli ripercussioni sulla salute delle singole persone, ma anche su quella delle imprese e delle economie nazionali.
Circa metà dei lavoratori europei considera lo stress comune nei luoghi di lavoro, e a esso è dovuta quasi la metà di tutte le giornate lavorative perse. Come molte altre questioni riguardanti la salute mentale, spesso lo stress viene frainteso o stigmatizzato. Tuttavia, se li si considera come un problema aziendale anziché una colpa individuale, i rischi psicosociali e lo stress possono essere gestibili come qualsiasi altro rischio per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
I fattori correlati allo stress da lavoro sono:
– Aspetti temporali della giornata e dell’attività lavorativa (turni, straordinari, ritmi)
– Contenuto dell’attività lavorativa (lavoro frammentato, senza autonomia)
– Rapporti interpersonali nel gruppo di lavoro (possibilità di interagire con i colleghi, sostegno sociale e strumentale, equità nel distribuire il lavoro…)
– Rapporti interpersonali con i supervisori (partecipazione ai processi decisionali, feedback e riconoscimento da parte dei supervisori)
- Condizioni dell’organizzazione (struttura e burocrazia organizzativa, senso di ingiustizia)
Le conclusioni fino ad ora raggiunte dall'”European Agency for Safety and Health at Work” descrivono cinque aree di variabili che rendono emergenti ed in aumento i rischi psicosociali:
1. utilizzo di nuove forme di contratti di lavoro (contratti precari) e l’incertezza e l’insicurezza del lavoro stesso (scarsità di lavoro);
2. forza lavoro sempre più vecchia (poco flessibile e poco adattabile ai cambiamenti) per mancanza di adeguato turn-over;
3. alti carichi di lavoro, con conseguenti pressioni sui lavoratori da parte del management;
4. tensione emotiva elevata, per violenze e molestie sul lavoro;
5. interferenze e squilibrio fra lavoro e vita privata. Quando lo stress psicologico supera una certa soglia, altre emozioni quali ansia e inquietudine entrano in gioco in modo significativo, e se tale livello di tensione si mantiene per un lungo periodo di tempo può sconfinare nella patologia.